venerdì 29 novembre 2013

avere 10 anni

Ecco, accade nella vita di ognuno che si arrivi al punto di sentirsi in dovere di mettere i puntini sulle “i”, di fermarsi un attimo a guardare indietro per vedere quanta strada hai fatto e quanta (possibilmente) si può e si deve ancora fare. Senza retorica, ci siamo “fatti la festa”. Presuntuoso sì, ma è stato più per curiosità che per altro. Insomma a La Tenda, sabato sera ci siamo tolti un po’ di soddisfazioni. Le parole non sono state tante, a parte i numerosi “grazie” che rimarranno in ogni caso insufficienti.  E’ un po’ difficile da spiegare ma ci si può provare. Ognuno (tra i tanti presenti) se l’è vissuta un po’ come meglio credeva, ma noi ce la siamo sentita a modo nostro e adesso la scriviamo qui, per mettere i puntini sulle “i” appunto.




Bob Corn è stato l’opening act che abbiamo voluto. Doveva essere per forza lui. Tiziano racconta storie e racconta le sue canzoni che raccontano di lui, ma anche un po’ di noi. Abbiamo cominciato quasi assieme, noi e Bob Corn. Prima lui organizzava i concerti più belli ai quali abbiamo assistito da giovinastri: era l’importatore della musica importante, quella che ti stordiva per settimane e che ti insegnava cosa vuol dire saltare su e giù da un palco e come farlo in maniera sensata, per il contenuto, non per l’estetica. Assieme a Paffu ha “accolto” il nostro primo disco dentro alla loro Fooltribe e, per noi, è stato come ricevere una onorificenza. Poi ha cominciato a suonare e abbiamo condiviso tour, concerti, chilometri, accordi e disaccordi. Sempre o quasi. Doveva essere per forza lui.

Abbiamo suonato “Battlefields in an Autumn Scenario”. Il nostro primo disco partorito dieci anni fa. Non ce lo ricordavamo nemmeno tutto, ché dopo quello ne sono venuti altri e l’attenzione ti viene da spostarla in avanti. Ci siamo ricordati che lo avevamo scritto in un paio di mesi, registrato in un giorno e mixato in una notte assieme a Davide del Bombanella Soundscapes, con un computer e con dei programmi che a dirli oggi farebbero sorridere. Il master lo aveva fatto Massimo, ma dei Three Second Kiss parleremo dopo. Non abbiamo molte registrazioni dell’epoca (perché era difficile registrare all’epoca, teniamocelo bene a mente) e non sapremmo dire se lo abbiamo ri-suonato bene o male. Ma lo abbiamo suonato e ci è piaciuto un sacco farlo. Quindi va benissimo così.

In mezzo a tutti gli altri pezzi più recenti abbiamo avuto ospiti-amici e questa per noi è una gran cosa. Non ci è capitato spesso di suonare con dei “featuring”, forse non siamo nemmeno il gruppo che meglio si presta a questo genere di cose. Ci volevamo divertire e lo abbiamo fatto. Punto.

Maolo è stato il primo. Lui è uno che ha sempre avuto idee fresche e abbastanza diverse dal nostro modo di intendere la musica. E’ uno bravo, che ha dimostrato di avere una visione chiara di quel che stava facendo. Lo abbiamo sempre valutato come un “enfant prodige”, forse oggi non è più tanto “enfant”, ma il resto rimane. E’ uno che macina elettronica e rap. Cosa c’entra? Hi-Fi Burnout è venuta veramente stramba ed era quello che volevamo.

Enrico adesso suona il basso negli Ornaments. Roba scura, che viene dalle tenebre. Prima era il nostro fonico e ci ha accompagnato in giro a far concerti un po’ dappertutto. Furgone, puzza di gasolio, rustichelle dell’Autogrill, pizze fredde, birre calde e sacchi a pelo: insomma la ricetta degli ultimi 10 anni di concerti. Il suo basso ha la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli. Lo volevamo sul palco con noi. Voleva suonare Modern Age Apologies. Lo abbiamo fatto ed è stato figo, perché lui quella canzone la conosce bene e la sa suonare, eccome.

Se dieci anni fa ci avessero detto che un giorno avremmo suonato un nostro pezzo assieme Sergio ci sarebbe comparso sul volto quel tipico sorriso nevrotico che nasconde (male) il timore reverenziale. Cioè, i Three Second Kiss ci hanno fulminati dal primo secondo del primo concerto che abbiamo visto. Ma tipo uno di quei gruppi che ti fa passare la voglia di suonare perché tanto così tu non ci suonerai mai: (“you can’t cook the same sauce in a different kitchen” dicevano loro). Oppure ti fanno venire una gran voglia di imbracciare il tuo strumento e provare a far uscire un po’ di fuoco e fiamme come fanno loro, anche solo un pochino, senza chiedere troppo. “Ho fatto questo arrangiamento un po’ orientaleggiante, non so se vi piace”. “Hai fatto l’arrangiamento definitivo. Il problema sarà farne a meno da adesso all’eternità”. Unico rimpianto: The Colour is Grey dura un paio di minuti in tutto. A saperlo avremmo scritto una overture da un’ora e mezza. E adesso basta. Ci stampiamo le foto e le mettiamo sul comodino, di fianco a quelle del primo giorno di scuola.

Capra lo si conosceva fin dagli albori dei Gazebo Penguins. E’ un dritto e ha un cuore grande così. Ma per davvero eh. Di tante cose bellissime che ha fatto per noi (specialmente nell’ultimo anno e mezzo) ne mancava una. E le cose non si lasciano mai a metà. Allora c’è questo pezzo che ci piace pensare sia il più “singalonga” che abbiamo mai scritto, e poi è dolce con dei chorus un po’ tirati. Lui ci ha messo un arrangiamento un po’ sognante e si è inaspettatamente aggiunto Zanna al basso all’ultimo minuto. Mentre suonavamo Confusion is Pleasure pareva di stare a Wembley. Invece era Modena, che buffo. Tutto perfetto. Non diciamo “emozionante” perché è un termine trito. Però suonare con certa gente è divertente, nell’accezione più semplice del termine.

GB’s Deer Hunting è un pezzo bello carico. Zanna e Adriano erano esattamente quello che ci voleva. Perché The Death of Anna Karina, oltre ad essere amici, sono anche il nostro gruppo hard-core preferito di sempre. Ecco, l’ho detto. Hanno sempre avuto un “tiro” incredibile e probabilmente sono pure terapeutici: pestano come dei forsennati e quando ti spari un loro concerto nelle orecchie poi stai meglio, scaricano loro per te. Zanna ci ha messo questi riff abrasivi di chitarra e la sassaiola di Adriano non lascia scampo (perché Adriano non lascia MAI scampo). Il gioco è bello che fatto: la gioia di spettinare il pubblico ce l’hanno data loro.

Lands Apart la avremmo dovuta fare con Marco, che è un Maybe Happy, che è un amico da prima che esistesse la musica, che suona con noi nei Sex Offenders Seek Salvation. L’avevamo provata con lui alla chitarra e voce in sala prove. Veniva da Dio. E invece “shit happens” e l’influenza ci ha messo lo zampino. Abbiamo avuto anche noi il nostro grande assente. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Dell'assenza, non di Marco.

E poi ci sono tutte quelle persone che fanno cose dall’altra parte della barricata, quelli che non sono esibizionisti come noi, ma senza i quali il nostro esibizionismo non troverebbe sfogo. Turro che da buon certosino mette a posto i suoni e registra tutto il live, Genio che fa il banchettaro, Giulia che scatta le foto, Zino che fa le soggettive video, e per l’occasione tutto lo staff foto-video de La Tenda, che noi non conoscevamo ma abbiamo scoperto chiamarsi Holy!Shit films e Francesco Boni. Già pure La Tenda è stata perfetta: senza Fulvio e tutta la sua combriccola, questa cosa non avrebbe trovato un tetto sotto cui stare e invece, oltre all’ospitalità, ci è stato dato di tutto e di più.

Ora in questa epoca grama, nella quale la crisi picchia duro, stare insieme e condividere qualcosa è sempre più una scommessa in perdita. Noi ci sopportiamo ormai da dieci anni e presumibilmente non riusciremo a liberarci l’uno degli altri in un tempo breve. Qualcuno tra il pubblico è sempre stato ai concerti, fin dall’inizio, altri ci sono stati spesso, altri addirittura mai. Ecco noi questo abbiamo fatto: siamo stati insieme in un concerto e lo abbiamo sentito grande, enorme, intenso. Per noi, davvero, all’ippodromo di Modena non si vedevano ospiti del genere dai tempi di Pavarotti. Ecco sì, questo.

Poi c'è il live report di Rockit QUI. Leggetevi anche questo.

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